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L’ascesa delle Challenger Banks e la sfida nei confronti delle banche tradizionali

 

Di seguito rappresentiamo la storia e l’evoluzione sul mercato delle Challenger Banks nell’ultimo decennio, in Italia ed in Europa

 

Le Challenger Banks sono banche che non hanno filiali né fisiche né online, che mettono a disposizione i propri servizi unicamente attraverso app e smartphone.

Come detto, non dispongono di nessuna filiale fisica a differenza di altre banche reti (vedi Fineco o Banca Mediolanum) che offrono servizi digitalmente ma che hanno comunque uffici in cui i clienti possono interagire con persone fisiche.

Queste banche sono caratterizzate da una forte connotazione tecnologica e da una dotazione di personale molto contenuta: per questi motivi possono applicare ai clienti costi più bassi, con pacchetti base spesso gratuiti che attraggono soprattutto i millennials.

Queste nuove banche mirano a sfidare la vecchia guardia del mondo degli Istituti di Credito.

Di dimensioni particolarmente modeste, generalmente si appoggiano (almeno in parte) proprio a quelle “old banks” dalle quali si vogliono distinguere: gli istituti tradizionali si occupano infatti per conto delle challenger banks del deposito materiale del denaro e di tutte le operazioni burocratiche (dall’antiriciclaggio alla compliance) necessarie per operare.

Inoltre, queste “new banks” si appoggiano ad altre imprese fintech e insurtech per offrire ai propri clienti servizi come, ad esempio, piattaforme di investimento e di trasferimento di denaro, molto più agili e personalizzabili di quelli delle banche tradizionali.

 

Nel periodo 2010-2022 il settore bancario europeo ha vissuto un calo strutturale dei ricavi e dei margini, dipeso dall’appiattimento dei tassi e dagli effetti delle nuove regolamentazioni, poi aggravato dalla pandemia e dallo scenario geopolitico.

Queste sfide hanno obbligato le banche tradizionali ad avviare una profonda ristrutturazione dei modelli distributivi. Tra il 2010 e il 2020 si sono ridotti sia il personale bancario (-34,4% in Spagna, -26,4% nel Regno Unito, -14,8% in Italia e -13,9% in Germania) sia, e ancor di più, gli sportelli (-48,3% nel Regno Unito, -48,1% in Spagna, -36,8% in Germania e -30,1% in Italia), il che ha favorito l’avvento delle “challenger banks”.

Tuttavia, gli italiani si dimostrano ancora restii al cambiamento: il nostro Paese si posiziona infatti nelle retrovie per l’utilizzo dei servizi bancari online: il 45% degli italiani, contro una media Ue del 58% con punte del 90% nei Paesi del Nord come Norvegia, Danimarca e Finlandia e dell’86% nel Regno Unito. Tale dinamica ha subìto però un’accelerazione durante il periodo pandemico ed è il risultato dell’evoluzione dei gusti della clientela, sempre meno fidelizzata e più indirizzata verso i canali, web, mobile e telefono.

In Europa nel 2022 sono state identificate 96 challenger banks: 63 detengono una licenza bancaria completa, 20 agiscono in qualità di agenti di operatori terzi, 6 sono in possesso di licenza di Imel o di Istituto di Pagamento e le restanti 7 hanno una licenza bancaria con restrizione o sono in fase di Application (hanno cioè avviato la procedura con un’operatività ad oggi limitata).

Tra gli esempi di maggior successo in Inghilterra possiamo citare Starling Bank o Revolut, entrambe basate su operatività online, trasferimento di denaro istantaneo, utilizzo dei fondi su base multicurrency ed una infrastruttura fintech leggera. Con una simile struttura sta avendo successo a livello continentale la challenger bank tedesca N26. Vi sono poi molti casi di operatori specializzati nel finanziamento a breve termine di specifiche esigenze, potendo anche contare sull’assenza di una normativa antiusura: è il caso per esempio della challenger bank Amigo Loans, che eroga piccoli prestiti personali a breve termine con l’ausilio della garanzia di parenti o amici, o PayDay Uk, che finanzia i percettori di busta paga per i pochi giorni che mancano al giorno dello stipendio in caso di temporanea carenza di liquidità.

L’Italia con le sue 12 challenger banks (Hype, Widiba, Illimity, Tinaba, Banca Progetto, Banca CF+, GBank, Tot, Guber, ViviBanca, CherryBank, Banca Aidexa) è il paese più rappresentato dopo il Regno  Unito (37) insieme alla Francia (12); seguono Germania (8) e Spagna (7).

Sono solo 9 le challenger banks quotate in Borsa in Europa (unica italiana Illimity).

 

Se il rapporto con i mercati borsistici appare ancora modesto, le challenger banks fanno invece ampio ricorso al venture capital. Dal 2016 al 2022 ammontano a 11,6 mld di euro le risorse raccolte dalle challenger banks europee tramite questa forma di finanziamento. Solo nel 2021 sono stati  complessivamente raccolti 3,5 mld di euro (+129,5% sul 2020). I conteggi per i primi sei mesi del 2022 risultano in rialzo dell’82,3% sullo stesso periodo del 2021 attestandosi a 1,8 miliardi, ma in parziale raffreddamento. 

L’accesso al funding è fondamentale non solo per affrontare i costi dell’oneroso iter autorizzativo, ma anche per finanziare lo sviluppo del business e incrementare le quote di  mercato. 

 

In Italia abbiamo avuto lo sviluppo di due diverse categorie di challenger banks, le banche propriamente retail online, e le banche che adottano un modello B2B-B2C.

Nel primo caso lo sviluppo è legato alle banche “incumbent” che, per via dell’incremento dell’attività online della clientela e della progressiva riduzione nell’uso del contante sia in Italia che in Europa che rendeva quindi meno necessaria la presenza di sportelli fisici, hanno “creato” delle nuove filiali retail online (es. Banca Sella con Hype, MPS con Widiba).

Per quanto riguarda invece il mercato delle challenger banks B2B-B2C, prive di sportelli, l’aspetto comune a tutte è la raccolta con conti online a cui ricorrono i depositanti persone fisiche, che accettano di depositare i propri soldi presso banche sconosciute al largo pubblico, poiché sono attratti essenzialmente dalla remunerazione (al contrario delle banche tradizionali che raccolgono a tassi prossimi allo zero, ma a fronte del rilevante costo di gestione delle filiali fisiche), beneficiando inoltre della garanzia del fondo interbancario se la giacenza non eccede i 100 mila Euro.

Un altro aspetto comune è la tipologia di impiego che queste banche esercitano: si va dalla cessione del quinto dello stipendio (CQS), al factoring, alla gestione di NPL, al leasing, al credito al consumo, ai finanziamenti alle PMI con garanzia del Fondo Centrale.

Dopo un’ondata di challenger bank rivolte al singolo consumatore, con un’offerta soprattutto di conti smart e light, sempre più banche e fintech hanno scelto di aggredire il segmento delle Piccole e Medie Imprese (PMI), ai cui bisogni le banche tradizionali riescono a rispondere in molti casi in ritardo ed in modo solo parziale. E’ possibile inoltre notare come ognuna delle maggiori challenger banks italiane che si è rivolta alle PMI, abbia scelto di focalizzarsi su uno o più segmenti come la cessione del quinto (es. Vivibanca), la gestione dei crediti in sofferenza (es. illimity, Guber) ed i prestiti bancari (Banca CF+, Banca AideXa, Banca Progetto).

Tutte partono da bisogni insoddisfatti delle imprese. Un recente report realizzato da PwC e Banca CF+ ha calcolato che nei dieci anni che hanno preceduto la pandemia il credito bancario alle PMI italiane (che rappresenta il 20% degli impieghi complessivi alle aziende non finanziarie) si è ridotto di circa 40 miliardi, passando dai 210 miliardi del 2010 ai 171 miliardi del 2019 e registrando così una contrazione del 20%. Le challenger banks sono così partite dai problemi di un processo industriale – in questo caso quello creditizio – e hanno tentato di ottimizzarlo senza avere legacy alle spalle e con la tecnologia. Proprio quest’ultimo aspetto è stato essenziale, se si pensa che con l’open banking e altre fonti informative gli istituti innovativi possono migliorare la valutazione creditizia e tagliare i tempi di erogazione delle risorse. La valutazione di credito oggi si basa sia sul set informativo base – bilanci, informazioni aziendali, centrale dei rischi – ma con l’open banking si arriva ad avere accesso a un set informativo più ampio e dettagliato – estratti dei conti correnti, cassetto fiscale, magazzino, ordini – e si capisce meglio come funziona l’azienda stessa. Questo set informativo viene affiancato a quello storico per creare dei modelli di valutazione del credito nuovi, che vengono migliorati continuamente.

Tra le challenger banks italiane in forte ascesa ad oggi, si segnala soprattutto Banca Progetto, specializzata in servizi per le PMI italiane e per la clientela privata, controllata dal 2015 da Oaktree Capital Management e caratterizzata da una rete commerciale presente su tutto il territorio nazionale, un’infrastruttura tecnologica all’avanguardia ed una credibilità ormai affermata tanto dagli investitori istituzionali quanto dalla clientela privata. La banca ha chiuso il 2023 con un utile netto di 72 milioni di Euro (+38,3% rispetto all’anno precedente), un totale attivo di 8,5 miliardi di Euro (6,7 miliardi al 31.12.2022), volumi erogati alle imprese sotto forma di finanziamenti a medio-lungo termine pari a 2,8 miliardi di euro nel corso del 2023, confermando il trend di crescita strutturale della Banca.  In termini di redditività, il CET 1 Ratio, nel 2023, è stato pari al 17,4%. Anche la raccolta totale da conti di deposito in Italia, Germania, Spagna e Olanda è risultata in crescita del 20% rispetto al 2022 e si è attestata a circa 5,4 miliardi di euro al 31 dicembre 2023 (4,4 miliardi al 31 dicembre 2022). Inoltre nel corso dell’anno sono state finalizzate dalla banca 4 nuove operazioni di cartolarizzazione con sottostante portafogli di finanziamenti erogati dalla Banca alle PMI italiane e garantiti dal Fondo Centrale di Garanzia e da SACE. Le operazioni hanno permesso di raccogliere 1,7 miliardi di Euro, per un saldo totale di raccolta da investitori istituzionali al 31 dicembre 2023 di 2,4 miliardi di Euro, che ha consentito di consolidare la diversificazione delle fonti di finanziamento della Banca in ottica strategica.

 

La strada della crescita in generale per le challenger banks non sarà comunque priva di insidie sia in Italia che in Europa: se da un lato queste hanno bisogno di capitali relativamente bassi per iniziare, dall’altro per scalare e consolidare il settore serve un passo diverso. La licenza bancaria per esempio per operare comporta rilevanti costi amministrativi legati alle funzioni richieste dalla vigilanza: nei casi attualmente presenti sul mercato si stima che il costo per le funzioni centrali, indipendentemente dalle attività svolte, si collochi in c.a. 10-15 milioni annui. L’altro elemento di costo da considerare è quello distributivo: per la distribuzione online di determinati prodotti, il contatto con i clienti target avviene essenzialmente per il tramite di reti agenziali onerose.

Inoltre, i costi operativi più bassi ed un time to market più veloce si scontrano con le risorse molto più elevate degli incumbent. Inoltre nei prossimi anni, le banche sfidanti dovranno affrontare una maggiore concorrenza anche da parte della “nuova ondata di fintech” come l’embedded finance, il wealth management, ecc, e le “non-bank corporate” come Amazon o Apple, che possono guardare con più slancio al mondo dell’innovazione. Ci saranno probabilmente più prodotti e servizi finanziari incorporati a queste piattaforme ed offerte più personalizzate per i clienti, il che può portare ad attrarne di nuovi e a convincere più segmenti a lasciare le loro banche tradizionali: sicuramente una delle principali preoccupazioni per le banche challengers.

Sarà quindi necessario per le attuali challenger banks allargare sempre di più la propria offerta anche verso nuovi segmenti rispetto a quelli attuali, più o meno classici del settore.

 

 

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